L’Aikido non interessa? I perché della tradizione

Frequentemente ci si imbatte in articoli, saggi, convegni e studi che più o meno contengono la frasetta: “Quale futuro per...” a cui va aggiunto il tema su cui ci si interroga, in modo più o meno preoccupato.

E’ normale dunque che succeda anche per le discipline marziali e dunque anche per l’Aikido. Tranquilli: questo non sarà però un post che si interrogherà su…”quale futuro per l’Aikido”.

Ne hanno scritto e parlato già in molti e non ci pare che questo abbia portato nel tempo a inversioni di tendenza a livello macro, rispetto quantomeno al report che aveva curato Josh Gold per Aikido Journal nel 2020 o all’Aikicensimento nel 2015.

Rispetto al report citato, ci aveva colpito l’evidenza riportata da Google Trends: un calo di interesse per l’Aikido -nelle ricerche e nei contenuti- di circa il 93% a partire dal 2004. Tale dato fotografava una tendenza relativamente agli Stati Uniti ma se restringiamo la ricerca sull’Italia o sui maggiori stati europei, le proporzioni non cambiano.

Quando si assiste ad un fenomeno di questo tipo in realtà siamo di fronte a qualcosa che capita in continuazione. Pensiamo ad esempio alla diffusione dei browser per navigare su internet: esattamente vent’anni fa Internet Explorer era il dominatore incontrastato sulla scena mondiale. Adesso la sua versione successiva, Edge, ha una quota risibile, con un mercato dominato da Google Chrome e Safari.

Certo, un conto è parlare di un prodotto che si impone -almeno per un certo periodo- come standard dominante e un conto è pensare al calo di interesse per l’Aikido.

Ma è così diverso? Probabilmente no. E allora ecco quattro spunti da tenere in mente quando sentiamo qualcuno che si lamenta perché laikidononhafuturomacomestavamomeglioquandoeravamoinduemilioniafaremaeukemiacovercianonelventiavanticristo.

1 Quanto sono davvero chiari i nostri perché?

E’ un dato di fatto: si può comprare un prodotto a condizione che il prodotto sia noto, visibile. Quando le case automobilistiche lanciano un nuovo modello, ne fanno circolare per strada diversi esemplari. Se i perché che animano la nostra scelta di praticare una disciplina sono chiari, è difficile che questo non vada in qualche modo a contaminare anche altri.

2 La nostra comunicazione è credibile?

Contaminare, sì. Ma come? Positivamente o negativamente? Che cosa realmente comunichiamo attraverso il nostro stare per anni su un tatami? Libertà? Mancanza di alternative? Noia? Tristezza? Completezza? Doppiezza? Costanza? Abitudine? Come e che cosa comunica agli altri la nostra condizione fisica, la nostra capacità di relazionarci agli altri? In una parola: siamo credibili?

3 Chi è la nostra platea?

Il report di Aikido Journal illustrava chiaramente come la stragrande maggioranza degli habitué dell’Aikido fosse nella fascia adulta (di cui il 41% sopra i 55 anni) e solo il 2% sotto i 24 anni. Due per cento.

Probabilmente questo significa che noi siamo convinti di parlare a tutti. Di fatto non stiamo che parlando a noi stessi, generalmente, senza curarci di imparare a comunicare con il tono e i contenuti che possano essere compresi da una platea davvero più ampia -e più giovane.

4 Quanto siamo sordi alle reali richieste?

Gli ambienti delle discipline marziali nostrani sono ambienti pieni di buona volontà e mediamente di brave persone. A volte però sono ambienti in cui la sordità fa brutti scherzi. Se i perché non vengono ravvivati in modo credibile di fronte a una platea che si conosce davvero, si finisce in un vicolo cieco. Da un lato pochi duri e puri che continuano a fare e proporre gesti tecnici. Dall’altro persone che si affacciano e scompaiono, anche laddove l’entusiasmo iniziale le aveva trasformate in soprammobili del Dojo, tanto erano sempre presenti. Crediamo che questo avvenga anche per una certa incapacità di ascoltare l’altro. Ed è tragico, in una disciplina che dovrebbe fare della sensibilità il suo punto di forza.

E’ una blasfemia dire che è non è vero che la proposta di una disciplina alla platea debba essere per forza mirata al “per tutta la vita”?
E’ così sconcertante ricordarsi che la piramide degli impegni e dei valori -anche per praticanti senior- può anche non fondarsi su una disciplina marziale?

E’ così disonorevole voler stare semplicemente bene attraverso una pratica che non preveda necessariamente un allenamento al giorno tutti i giorni, tutto l’anno, festività incluse?

E infine: non è forse sano ricordarsi che ogni gruppo umano, per bene che vada, finisce? Consegnando l’attività ad altre persone che, se avranno voglia, tempo e ispirazione, proseguiranno oltre?

Concludendo

Tramandare nel tempo una consuetudine, valori e compentenze è ciò che connette le generazioni in tutti i settori dell’esistenza umana. E’ anche il significato del termine tradizione. E sarebbe davvero sciocco pensare che nella tradizione non ci siano contaminazioni, adattamenti alla cultura e sensibilità del tempo, modifiche

La tradizione consegna, in una disciplina marziale, un deposito di tecniche ideate per mettere in risalto in maniera chiara i principi su cui si fonda la disciplina stessa. Ma i principi devono poter essere declinati dalle persone che la praticano “adesso“. Oggi.

Per questo siamo convinti che la tradizione sia immutabile nei principi, molto ma molto meno nel linguaggio tecnico, metodologico, didattico, organizzativo, estetico, verbale e, perché no?, tecnico marziale. Perché tradiremmo la tradizione se questa diventasse un puro ripetere acritico, senza che al centro ci sia l’essere umano. Il quale, per alcuni versi non cambia mai, mentre per altri non è nemmeno più lontano parente non solo dei giapponesi che dal 1942 si recavano a Iwama da Morihei Ueshiba ma della nostra stessa persona di cinque, dieci anni fa.

Ci sono esercizi e tecniche che in alcuni ambienti sono proposte in ossequio alla tradizione; non importa che queste fossero parte di un allenamento per persone che studiavano Aikido ogni giorno, tutto il giorno, spesso con competenze fisiche e di combattimento già sviluppate altrove. Offrirle in pasto senza alcun adattamento, tanto all’informatico di mezza età che sta dieci ore al pc ogni giorno e ha deciso di fare qualcosa di “non troppo competitivo”, o all’adolescente filiforme, dove conduce?

Probabilmente da nessuna parte. Anzi: potrebbe darsi che con certe routine proposte in modo acritico il praticante occidentale medio vada in una sorta di lock-in tra due estremi: da un lato cercherà di comprendere, relegando l’attività fisica alla sfera delle idee. Dall’altro sarà tentato (quando non invogliato) a deglutire il tutto perché “un giorno capirai”. E’ questo che vogliamo, per noi e per gli altri?

Recuperare i perché, comprendere che cosa sia davvero “tradizione” e comunicare di conseguenza: magari questo non invertirà globalmente la perdita di interesse per certe discipline come l’Aikido ma per chi lo saprà fare, probabilmente a livello locale, sì.

Disclaimer foto di Anna Nekrashevich da Pexels

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